RELATORI: LA DOTT.SSA PAOLA DEL NEGRO DIRETTRICE DELL'IST.NAZ. OCEANOGRAFIA E GEOFISICA DI TRIESTE

UN MARE DI PLASTICA,LA PROPOSTA PER UN SERVICE

L’ambiente marino, così importante e fragile, così pesantemente minacciato dal galoppante fenomeno dell’accumulo di materie plastiche, è stato l’argomento trattato dalla biologa marina Paola Del Negro in un caminetto allargato, che ha visto la presenza di graditissimi ospiti quali autorità comunali, gestori della spiaggia e membri dei Club rotariani di Monfalcone/Grado e Caorle.

La dottoressa Del Negro, rotariana, Direttore Generale dell’Istituto di Oceanografia e Geotecnica Sperimentale di Trieste, uno degli undici istituti alle dipendenze del Ministero della Ricerca Scientifica delegato a studiare e monitorare il mare e le coste italiane, ha esordito nella sua relazione con un invito a non sottovalutare il fenomeno dell’inquinamento marino dovuto alle materie plastiche. “Le plastiche sono un problema che sta per diventare noioso”, come spesso succede per tanti argomenti trattati in maniera a volte troppo frammentaria e poco approfondita ove spesso non si presta la dovuta attenzione. Il mare occupa il 71% della superficie del pianeta, che dovrebbe chiamarsi “Mare” e non “Terra”: una superficie vastissima, senza confini, ove l’acqua circola liberamente mossa da correnti oceaniche che ne provocano un continuo rimescolamento. Il mare, oltre a fornirci una parte rilevante di elementi nutritivi, svolge anche una funzione essenziale alla sopravvivenza: tramite la fotosintesi clorofilliana dei suoi batteri, fornisce all’atmosfera il 40% dell’ossigeno necessario alla vita e cattura volumi enormi di anidride carbonica. Eppure questo delicatissimo equilibrio è messo a soqquadro dall’incuria dell’uomo stesso che l’ha ridotto ad una enorme pattumiera. Ogni anno sono riversate in mare 4 miliardi di tonnellate di rifiuti pari a un camion ogni minuto. Tra i rifiuti sono riversate in mare 8 milioni l’anno di sostanze plastiche; 731 mila solo nel Mediterraneo, mare su cui s’affacciano Stati considerati tra i più civili del pianeta. Non è quindi un problema di civiltà, perché sono proprio le popolazioni più civili e industrializzate ad usare la plastica in maniera indiscriminata. Non è un problema dovuto alla circolazione marina: solo il 20% dei rifiuti proviene dalle navi e dai pescherecci, l’80% è di origine terrestre. E di questi rifiuti la plastica rappresenta oltre il 75%. Quali le conseguenze? La degradazione del materiale plastico richiede in media circa 400 anni, per cui si è andati incontro ad uno spaventoso accumulo. Si sono formate negli oceani 5 enormi isole di plastica, di dimensione variabile tra 700mila kmq e 10 milioni di kmq. Solo l’isola di plastica chiamata North Pacific Gyre, situata appunto nel nord Atlantico, ha una superficie superiore alle isole britanniche. La conseguenza primaria sta nel fatto che queste isole interrompono il contatto tra la superficie del mare e l’atmosfera, riducendo notevolmente l’attività fotosintetica dei batteri: meno ossigeno rilasciato, meno anidride carbonica assorbita. “E’ come mettere un telo sopra la foresta amazzonica”, ha sintetizzato la dottoressa Del Negro. “Non si può pensare che la plastica sia stata un danno per l’umanità – ha proseguito la dottoressa Del Negro – Tanti e tali ne sono stati i vantaggi (in campo medico, industriale e domestico) che hanno rivoluzionato la nostra vita. Per la scoperta dei polimeri Giulio Natta ricevette il premio Nobel per la chimica nel 1963. Il problema è stato l’uomo che non ha saputo gestire questa grande risorsa.” Le plastiche, infatti, nate per essere indistruttibili, sono state prodotte negli anni in maniera indiscriminata: quasi mai si è privilegiato il riutilizzo. L’impiego dell’usa e getta è grossolanamente prevalso, senza tener conto dei lunghi tempi di degradazione dei polimeri, nati appunto per durare a lungo. E di ciò non si può incolpare le popolazioni del terzo mondo, culturalmente meno evolute: il fenomeno ha radici più profonde nella civiltà del benessere. La disamina di Paola Del Negro non si è fermata solamente alle grandi isole di plastica che limitano gli scambi gassosi tra mare e atmosfera; il discorso si è allargato ai fondali marini ove si trovano le plastiche più pesanti, creando vere e proprie discariche. “Oltre alle plastiche, sul fondo marino si trova ormai di tutto; carcasse d’auto, biciclette e oggetti metallici di vario tipo, pneumatici, persino mobili ”. Tra gli oggetti maggiormente rinvenuti in mare si annoverano gli attrezzi e i contenitori per la pesca. Per miopia dei legislatori, che considerano le reti da pesca dei rifiuti speciali pari alle cassette di polistirolo per conservare il pescato, le navi da pesca tendono ad abbandonare in mare questo genere di rifiuto, evitando così fastidiosi e costosi protocolli di smaltimento. E’ notizia di ogni giorno la quantità di animali marini che subiscono le conseguenze meccaniche, per ingestione o aggrovigliamento, di questi rifiuti. “Solo l’anno scorso, nel tratto di litorale da Trieste a Sottomarina sono state rinvenute morte lungo le spiagge oltre 70 testuggini del genere Caretta caretta: purtroppo esse non distinguono la differenza tra una medusa e un sacchetto di plastica, la cui ingestione porta alla morte dell’animale”, ha raccontato la relatrice. L’80% dei rifiuti marini ingeriti da tartarughe, mammiferi e uccelli sono oggetti di plastica: il restante 20% sono pezzi di vetro, alluminio, carta e legno.

Oltre al problema della macro-plastiche già così evidente, le micro-plastiche (derivate dalla scomposizione della plastiche maggiori o giunte in mare mediante gli scarichi urbani di materiali tessili, prodotti igienici e detergenti e altri prodotti industriali) determinano una pericolosissima forma d’inquinamento. Ingerite da molluschi e pesci, che le confondono con il plancton marino, arrivano direttamente sulla nostra tavola. Da una ricerca effettuata sulle sogliole del mare Adriatico negli anni 2014-2015, in 60 stazioni diverse sono stati analizzati 533 esemplari. Lo sconcertante risultato dimostra che ogni esemplare esaminato portava al suo interno almeno due microplastiche.

Paola Del Negro ha inoltre specificato che la presenza di rifiuti in mare non deriva solo dalle popolazioni rivierasche. Tutto ciò che viene gettato negli scarichi urbani e non è trattenuto dai filtri dei depuratori finisce in mare: sono i materiali più piccoli o, come i cotton fioc, di forma sottile ed allungata a rappresentare un grosso problema. Ha ricordato che, in Francia, sulla ghisa delle griglie degli scarichi stradali è stampigliata una scritta: “Il mare comincia qui”.

Cosa si può fare per contenere questo problema? La cosa più importante è applicare la regola delle tre R: riduci, riusa, ricicla. Serve un grande sforzo legislativo e culturale, rivolto soprattutto verso le giovani generazioni che appaiono più sensibili e recettive.

Al termine della relazione e al nutrito numero di domande formulate da un attento uditorio, il Presidente del Club Antonio Simeoni ha formulato ai presenti una proposta di service. Si propone, durante il mese invernale, l’installazione ad ogni ingresso della spiaggia lignanese di un dispensatore di sacchetti tipo supermercato unitamente a pieghevoli di illustrazione del problema e dell’iniziativa intrapresa: chiunque può contribuire, durante le passeggiate sul bagnasciuga dell’arenile, alla raccolta dei tanti materiali di rifiuto trasportati dalle maree e riporli poi nei grandi contenitori all’uopo costruiti. Il materiale raccolto, oltre che a liberare l’ambiente dai rifiuti, rappresenterà un utilissimo materiale di studio per l’Istituto diretto dalla dottoressa Del Negro. Il service prevederà anche una capillare opera di sensibilizzazione nelle scuole del territorio.

Nella consapevolezza che il service proposto è un’azione infinitesimamente piccola rispetto a un problema così grande, ci piace ricordare Bob Dylan quando negli anni ’60 cantava “Blow in the wind”. Soffiando nel vento è necessario essere in tanti per essere efficaci; ma da qualche parte dobbiamo cominciare.

P.Z.